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Verdicchio e Rosso Conero 2017-09-20T17:12:18+00:00

Project Description

Il D.O.C dei Castelli di jesi: IL VERDICCHIO

Sono passati oltre 40 anni dalla d.o.c e 10 dal riconoscimento di miglior vino bianco del mondo per il Verdicchio.
Dentro ogni bottiglia si ritrova tutto l’incredibile lavoro agricolo, la lavorazione accurata e la confezione attenta che rispecchia la denominazione di origine controllata e al contempo la caratteristica genuinità della terra di provenienza, vale a dire quella splendida collina dei Castelli di Jesi cullata fra mare e montagna, magnifica sintesi di bellezze paesaggistiche, storiche, artistiche, monumentali e folcloristiche. La valle dei Castelli di Jesi è punteggiata da deliziosi borghi medioevali cinti da mura circondati da vitigni che si estendono a perdita d’occhio, percorsi da un venticello che evita il formarsi dell’umidità, soleggiati al punto giusto perché la vite produca l’uva da cui nasce un vino di origine controllata, al profumo di fiori e dal retrogusto amarognolo, un vino apprezzato in tutto il mondo.

Intorno al Verdicchio aleggiano inoltre parecchie leggende storiche, la più famosa quella che attribuisce a padre Vincenzo Maria Cimarelli, frate domenicano, inquisitore a Gubbio Crema e Brescia, nativo di Corinaldo, una frase celebre dedicata al Verdicchio.
Gliela attribuirono con tutta probabilità negli anni 50/60 quando cercando nobili origini del Verdicchio qualcuno non trovò di meglio che incastrare alcune espressioni in una pagina scritta appunto dal Cimarelli, nelle sue “Istorie dello stato di Urbino”, qui, al capitolo secondo il frate avrebbe scritto:

“li amenissimi colli della Nevola, del Misa e del Suasano (l’attuale fiume Cesano) a guisa di cornucopia, rendono ogni altra cosa necessaria, non tanto al sostentamento umano, quanto al viver molle e delizioso et specialmente lo verdicchio, vino de solar claritade et vertù eccellentissime, come qualmente narra Bernardo Giustiniano nel secondo libro dell’origine di Venezia che Alarico, Re dei Visigoti, muovendo da questa contrada alla terra dei brutii seco portasse 40 some in barili, nulla a se stimando recar sanitade et bellico vigore melio del menzionato Verdicchio”.

Ad un controllo del volume originale si è scoperto il falso. Aldilà di qualche parola o frase il riferimento al Verdicchio e al re Alarico è inesistente. La storia ebbe però successo e venne riportata da tutti coloro che hanno scritto di Verdicchio, in particolare riprendendo quell’espressione, “Vino di claritade e virtù eccellentissime” ancora oggi molto utilizzata perché riesce ad esprimere le connotazioni specifiche del Verdicchio in un linguaggio aulico e fascinoso.

Se invece siete nelle Marche a settembre, non potete assolutamente perdervi La Sagra dell’uva di Cupra Montana, seconda in Italia per longevità (la prima edizione nel 1928), di appena 2 anni più giovane di quella di Marino sui castelli Romani.
Anche il mantenimento della dicitura “Sagra” è stato fortemente voluto dai Cuprensi, per conservare e rimarcare il legame antico con la ruralità e il forte coinvolgimento popolare che la manifestazione esercita: un evento a cavallo tra sacro e profano.

Peculiarità della sagra cuprense sono le caratteristiche capanne, stand gastronomici realizzati con canne arbusti ed edera dove gustare tipicità culinarie e verdicchio locale e i carri allegorico-vendemmiali che dal 1928 caratterizzano la kermesse della domenica. Un aspetto peculiare delle odierne sagre di Cupra è proprio quello carnevalesco che trae origini dagli irriverenti baccanali di epoca Romana che ora trovano la loro moderna espressione appunto nei carri allegorici.
Per celebrare la vendemmia, numerosi sono i cantori degli stornelli e i gruppi folk che si cimentano nella caratteristica danza del “saltarello”. Da diversi anni la sagra ospita il palio del verdicchio: gara di pigiatura con i piedi, in tini di legno, tra le rappresentative dei comuni a maggiore vocazione vitivinicola del comprensorio del verdicchio.

ROSSO CONERO

Il Rosso Conero è il vino nella Regione Marche di cui troviamo più cenni storici. La leggenda più antica ci racconta che il monte Conero sia l’ultimo scoglio emerso rimasto dell’antica Adria, una specie di Atlantide ora sprofondata. Troviamo traccia di questo vino già all’epoca dei monasteri benedettini: sui documenti ritrovati i monaci parlano esplicitamente di cure fatte con del “nettare ricavato da un particolare sistema in cui venivano utilizzatele uve coltivate sul monte Conero”. Andrea Bacci, medico di Papa Sisto V, in un libro del 1596 fa un gran parlare dei vini del Conero. Riferimenti poetici più recenti li troviamo dal recanatese Giacomo Leopardi, che in alcuni suoi scritti meno conosciuti parla del vino e dell’ubriachezza e fa riferimento ai vini prodotti sulle pendici del monte Conero.